Di Elisabetta Iossa e Mario Turla
su LaVoce.info
La necessità di pianificare, progettare ed accelerare gli investimenti pubblici con certezza di tempi e costi richiede di affrontare i problemi strutturali della governance delle infrastrutture in Italia. Una strategia di ampio respiro dovrebbe prevedere un cambio di prospettiva centrato sulla competenza delle stazioni appaltanti, una normativa semplice ed essenziale e su controlli di sostanza prima ancora che di forma.
La competenza delle stazioni appaltanti
Come richiamato da Mario Draghi nel suo discorso al Senato, occorre investire sulla preparazione tecnica, legale ed economica dei funzionari pubblici per realizzare gli investimenti con certezza dei tempi e dei costi. Vari studi hanno mostrato che la competenza delle stazioni appaltanti incide significativamente sui tempi di costruzione e sui costi di realizzazione delle opere, nonché sul numero e qualità di brevetti generati a valle di appalti di ricerca e sviluppo. Inoltre, sappiamo che negli appalti pubblici, il danno dall’incompetenza può essere maggiore di quello della corruzione.
La buona notizia è che la normativa sull’affidamento dei contratti pubblici, D.Lgs 50 del 18 Aprile 2016 (Codice dei contratti pubblici), ha previsto (art. 38) l’introduzione di un sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti che ne misura l’effettiva capacità tecnica e organizzativa di indire appalti pubblici per fasce d’importo, settori merceologici e aree territoriali. I requisiti richiesti sono individuati sulla base di caratteristiche tecnico-organizzative, competenze, esperienza pregressa e performance, in termini di scostamenti di costo e tempo, e delle tempistiche dei pagamenti ai fornitori. La cattiva notizia è che la norma a oggi è inattuata.
Normare per facilitare
L’approccio normativo deve essere finalizzato a facilitare il conseguimento degli obiettivi che stazioni appaltanti (opportunamente qualificate) si pongono, e non avere invece come obiettivo primario quello di arginare il malaffare. La logica del continuo sospetto danneggia la fiducia nelle istituzioni senza alcuna provata contropartita. Dal 2012 al 2020, l’Italia è passata dal 72° al 52° posto nell’indice di percezione della corruzione, ma a oggi resta tra le peggiori in Europa, preceduta da paesi come Oman e Ruanda. Si moltiplicano invece i dati sui ritardi nell’attuazione dei progetti approvati, sui ritardi nella spesa dei fondi europei e sui costi della burocrazia. Inoltre, la complessità normativa rende necessari continui sforzi di interpretazione anche per le più insignificanti questioni amministrative, come ricordato da Gabriele Buia, presidente dell’Ance (Associazione nazionale costruttori) alla presentazione dell’Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni dello scorso 10 Febbraio.
Normare per favorire il raggiungimento degli obiettivi richiede una riflessione sul ruolo e l’azione della Corte dei conti, che – come sosteneva Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, alla cerimonia inaugurale del master in Procurement – dovrebbe subordinare la sua azione a una valutazione tecnica ed economico-statistica dei risultati, come fa negli Stati Uniti il General Accountability Office (Gao), e non ad una mera verifica formale. Uno studio recente ha dato riscontro empirico alla diffusa percezione che in Italia l’amministrazione sia spesso “difensiva”, quindi orientata al soddisfacimento del requisito regolatorio piuttosto che del risultato, preoccupata di incorrere in responsabilità.
Combattere la corruzione con controlli sostanziali
Per combattere la corruzione serve incrociare le banche dati e sfruttare la normativa antiriciclaggio per verificare la conformità tra tenore di vita ed entrate di funzionari pubblici e politici. Come ricordava il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho audito davanti alle commissioni Giustizia e Finanze della Camera il 13 ottobre 2020: “Laddove le proprie disponibilità economiche non sono conformi alle entrate sorge il sospetto, e nei reati di corruzione c’è sempre un soggetto pubblico”. Il punto è fondamentale perché collega la corruzione al riciclaggio, fornendo uno strumento importantissimo nella lotta alla corruzione: la normativa antiriciclaggio.
Con questa è possibile eseguire i controlli utilizzando le tecnologie dal data mining, della graphich analysis e del clustering per individuare tramite l’intelligenza artificiale tra i clienti di un intermediario finanziario i dipendenti pubblici o gli esponenti del mondo politico che hanno un tenore di vita non conforme alle loro entrate. Nella figura è riportato un caso recente. Al centro del grafico c’è una coppia di dipendenti pubblici che percepisce 6.500 euro mensili ma effettua bonifici a favore di un club di Montecarlo per 20 mila euro, spese per auto di lusso di 100 mila euro e riceve un bonifico per 100 mila euro da una società veicolo per la gestione immobiliare. Situazioni sospette come queste possono essere identificate in tempo reale e segnalate alla Fiu (Financial Investigation Unit), alla Dna (Direzione nazionale antimafia) o al Nucleo speciale di polizia valutaria, e quindi approdare alla procura competente.
In sintesi, per migliorare la governance delle infrastrutture in Italia serve puntare su stazioni appaltanti qualificate, agevolandone il lavoro con una normativa semplice ed essenziale, facendo uso delle banche dati e dell’intelligenza artificiale per identificare in tempo reale anomalie da segnalare agli organi competenti. La strada per il cambiamento passa per la competenza, la semplificazione ed i controlli sostanziali.